Esperienza comune a tutti è quella dello spostarsi, del muoversi e dell’andare; lo facciamo per lavoro, per necessità, per svago o volontà, come il viaggiare per “andare in vacanza”.
La vita stessa è descrivibile metaforicamente come un cammino, un viaggio, un passaggio. Termini che dicono il dinamismo dell’essere che ci costituisce nello spazio-tempo, viandanti sui sentieri dell’esistenza.
Viaggiatori, nomadi, pellegrini, ricercatori di sé: ci mettiamo in viaggio sulle rotte della vita, anche in forza di un costitutivo senso di inquietudine che ci spinge ad “uscire” da noi stessi, alla ricerca di una pienezza.
L’esperienza di uno sguardo veramente contemplativo è quella di lasciarsi condurre oltre i propri confini, “più in là”, verso l’altro che ci coinvolge, ci attira, senza mai avere la pretesa di averlo raggiunto completamente.
Coltivare questa “estasi” da sé, è allenare la mente a restare aperta alle possibilità dell’essere, all’accoglienza verso ciò che è nuovo e sconosciuto; a cambiare il suo modo di porsi, a comprendere che la verità delle cose si manifesta e si compie in modo dinamico, sviluppandosi. “Il viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, possiamo affermare, riprendendo le parole dello scrittore francese Marcel Proust (1871-1922).
Una tensione che educa ciascuno di noi ad uno spirito costruttivo anche nell’incerto, sapendo che qualunque concetto non può mai afferrare, fissare il dinamismo della vita che non si ferma, ma che continua, se glielo permettiamo, a schiuderci, in cammino, le sue profondità.